lunedì 15 gennaio 2018

Chi comanda in Vaticano?



I lettori che mi seguono con regolarità avranno notato che nei miei articoli raramente parlo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Il motivo lo spiegai all’inizio del post del 14 aprile 2016. È lo stesso motivo per cui, quando nell’agosto scorso i promotori della Correctio filialis mi chiesero se volevo sottoscrivere il documento, declinai cortesemente l’invito, pensando: chi sono io per correggere il Santo Padre e come posso io giudicare dell’ortodossia del suo insegnamento? Ciò però non mi impedí allora e non mi impedisce oggi di nutrire seri dubbi su Amoris laetitia, né di rilevare l’ambiguità del linguaggio utilizzato, né di denunciare i vizi procedurali che hanno portato alla sua stesura, né di constatare le conseguenze che ha provocato, in particolare la confusione diffusa nella Chiesa e le divisioni tra cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli. Ora poi che una discutibilissima interpretazione dell’esortazione apostolica è stata dichiarata l’unica interpretazione possibile ed elevata al rango di “magistero autentico”, rimango a maggior ragione ammutolito, non perché i miei dubbi si siano dissipati, ma semplicemente perché non so piú che cosa pensare.

Esiste però un altro magistero, al quale non mi sento in alcun modo vincolato e che ritengo assolutamente legittimo giudicare; potremmo chiamarlo il “magistero dei gesti”. Non si comunica soltanto con le parole; si comunica anche attraverso i segni. I gesti sono solitamente piú eloquenti e incisivi delle parole; anche se, in genere, presi in sé stessi, essi sono polivalenti, possono cioè convogliare messaggi diversi. Facciamo l’esempio del bacio: il bacio del bambino alla mamma è espressione di amore; il bacio di Giuda a Gesú fu invece un segno di tradimento. Per questo sono necessarie le parole che spieghino il reale valore di un gesto. Il battesimo, per esempio, per essere distinto da un comune lavacro, deve essere accompagnato dalla formula sacramentale “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Ci potrebbe essere però anche il caso contrario: che cioè le parole siano ambigue, mentre i gesti risultano inequivocabili. È esattamente la situazione che stiamo vivendo in questo momento nella Chiesa. 

Papa Francesco non ama parlare di questioni etiche. Aveva spiegato il motivo di tale atteggiamento, pochi mesi dopo la sua elezione, nell’intervista alla Civiltà Cattolica (n. 3918 del 19 settembre 2013):
Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione.
Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di piú, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere piú semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali (pp. 463-464).
Parole su cui si potrebbe tranquillamente convenire. Se non fosse che… in questi anni l’annuncio missionario concentrato sull’essenziale deve essermi sfuggito. Forse ero distratto. Quello che finora ho percepito è solo che all’insistenza, forse ossessiva, su certi temi si è sostituita l’insistenza, non meno ossessiva, su altri temi. Ma, a parte questa incoerenza che solo i ciechi potrebbero negare, va onestamente riconosciuto che tutte le volte in cui Papa Bergoglio ha parlato di aborto, non ha mai mancato di esprimere una netta condanna. Quindi il problema non si pone su questo piano. Il problema nasce quando si passa dalle parole ai gesti.

In questi giorni si è diffusa la notizia del conferimento della croce dell’Ordine di San Gregorio Magno a Lilianne Ploumen, ex-ministra olandese, sostenitrice dell’aborto e dei “diritti” LGBT. Negli Stati Uniti la notizia è stata data dal Lepanto Institute e dal sito OnePeterFive. In Italia l’hanno ripresa Marco Tosatti e La Nuova Bussola Quotidiana. Beh, un gesto del genere vale piú di mille parole, è piú eloquente di tanti discorsi: esso spazza via, in un solo colpo, qualsiasi dichiarazione verbale a favore della vita umana. 

Naturalmente non si tratta del primo caso. Esso va ad aggiungersi a una lunga serie di situazioni analoghe, opportunamente ricordate dalla NBQ: si va dalla scelta di Eugenio Scalfari come interlocutore privilegiato se non esclusivo di Papa Francesco, all’inserimento di Emma Bonino fra i “grandi d’Italia”, alla nomina di abortisti fra i membri della Pontificia Accademia per la Vita, all’invito, rivolto ai sostenitori del controllo delle nascite, a partecipare ai simposi ambientalisti organizzati dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Si tratta, in tutti questi casi, di gesti inequivocabili, attraverso cui si vuole far passare un chiaro messaggio: i principi finora sostenuti, promossi e difesi dalla Chiesa cattolica in campo etico, ancorché non espressamente ritrattati, sono di fatto considerati superati, a favore di una visione maggiormente in linea con quella oggi dominante.

Tali gesti non solo contribuiscono ad accrescere la confusione nella Chiesa; ma sono causa di sconcerto, indignazione e scandalo presso quei fedeli, che hanno sempre creduto che, fra le tante questioni opinabili, ce ne fossero alcune assolutamente non-negoziabili, come la sacralità della vita umana. Ebbene, di fronte a certe decisioni, è inevitabile chiedersi a quale sistema di valori faccia oggi riferimento la Santa Sede: se la sua fonte di ispirazione continuino a essere i comandamenti di Dio o se essi siano stati sostituiti dall’ideologia dominante. Ci si chiede se essa possa essere ancora considerata l’interprete autentica del Vangelo o se non sia diventata piuttosto una sezione distaccata delle agenzie internazionali. Ma soprattutto viene spontanea la domanda: chi comanda oggi realmente in Vaticano?
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